Stralcio dell’intervista a Demetrio Rizzo pubblicata sul numero di ottobre 2012 della rivista Duemila (p.47/48)
Demetrio, che ricordi ha della Grecia e delle sue prime composizioni musicali?
Ogni tanto fa ritorno al suo paese natale o preferisce l’Italia, gli Stati Uniti d’America, altri posti?
Gli anni vissuti ad Atene per me rimangono indimenticabili, erano gli anni della pubertà e quindi di conflitti interiori ma anche di grandi progetti per il futuro e Atene, da questo punto di vista, è una città che ti stimola molto. E’ infatti un luogo pieno di contrasti che solo apparentemente non affascina ma che in realtà ti impregna profondamente del suo spirito ribelle, anti convenzionale ma anche orgoglioso del suo indiscusso passato artistico, filosofico e politico. E’ impossibile non venirne coinvolti e così fu per me, che iniziai ad esternare tutte le mie emozioni attraverso la musica e la poesia, due modi espressivi che usavo per stati d’animo contrastanti: la musica melodica era quasi un inno alla vita mentre le poesie inquietanti come un film horror, esprimevano chiaramente un profondo senso di ribellione nei confronti della società chiusa in se stessa e in schemi che dal mio punto di vista imprigionavano la libertà espressiva. Quando posso faccio ritorno molto volentieri nella mia amata Atene per la quale, in occasione delle olimpiadi del 2004, ho anche realizzato un sito web finalizzato a presentarla sotto una luce inedita. L’Italia resta comunque il mio paese, qui ho svolto il servizio militare, gli studi e qui pratico da sempre anche la mia attività lavorativa.
Dalla musica all’arte il passaggio è avvenuto quasi subito nei suoi primi anni d’età?
E’ riuscito a realizzare il suo desiderio di espressione sonoro ma anche tridimensionale?
Ho iniziato a studiare pianoforte giovanissimo spinto da mio padre musicista e ricordo che all’inizio mi dovevano portare a lezione quasi con la forza. Col passare del tempo invece mi sono reso conto che nel momento in cui appoggiavo le dita sulla tastiera, il mio stato d’animo subito si rilassava ed eccitava al tempo stesso… così a 13 anni (quando sono ritornato in Grecia attraverso un esperienza molto dura che mi ha profondamente coinvolto emotivamente) ho finalmente sentito il bisogno di creare e quindi di comporre le mie prime musiche. Da allora la voglia di giocare con le note, nel desiderio di scoprire chissà che cosa, è stata quasi quotidiana. Non credo però ci sia mai stato un vero e proprio passaggio tra musica e arte figurativa, ricordo infatti che quando andavo ancora alle elementari, ricoprivo il mio banco di scuola con segni e linee molto simili a quelli che ho poi iniziato ad adoperare in tutti i miei disegni e che ancora oggi uso nelle mie grafiche. In generale amo esprimermi con qualunque cosa mi capiti a portata di mano, non a caso infatti filo di ferro e tubi di plastica ultimamente mi stanno portando a soddisfare un po’ della mia voglia di tridimensionale. Ritengo che nessuno di noi dovrebbe mai allontanarsi troppo dal suo spirito originale o dal suo istinto infantile, perché quella è anche la chiave per aprire la porta della nostra purezza intrinseca profondamente legata al nostro Io cosmico. Se sono riuscito a realizzare il mio desiderio di espressione? Beh se mai ci riuscirò vorrà anche dire che sarò morto… penso di essere solo all’inizio e che quindi sicuramente non sarà sufficiente questa vita per darmi modo di esprimere tutto ciò che sento.
Il suo lavoro ha ricevuto già nei primi tempi dei riconoscimenti; questo pensando ad esempio al Concorso Internazionale di disegno su Venezia, per lei è stato motivo di felicità essere veramente valutato anche dalla critica (non solo veneziana)?
La premiazione/valutazione devo ammettere che è stata la cosa meno interessante di tutta quell’esperienza legata al concorso. Credo che, come ogni cosa nella vita, sia stato nel percorso il vero valore.. per come la vedo io, la vita non è fatta ne di traguardi e ne di tappe ma di un continuo fluire in cui ogni singolo istante ha un valore inestimabile indipendentemente dal dove ci porti. La felicità dunque stava nel vivere un esperienza nuova e non nell’essere valutato. In definitiva col passare del tempo mi sono reso conto che ciò che per me conta veramente è avere l’opportunità e lo stimolo a creare e questo credo debba essere lo scopo di tutti i concorsi. I premi ovviamente gratificano e se economici danno anche un importante contributo a proseguire il lavoro, ma è proprio nel proseguire la propria ricerca che sta tutto il segreto.
Prima e dopo di una sua mostra… Non sa mai cosa potrebbe dirle il pubblico?
Quando un collezionista l’avvicina sente finalmente l’arrivo di un’opportunità oppure il lato commerciale, economico di ciò che fa non le interessa più di tanto?
Quando preparo una mostra, l’unica mia preoccupazione non è cosa dirà il pubblico (altrimenti molte delle mie opere sarebbero rimaste nel cassetto) ma è solo quella di portare progetti sempre nuovi che possano essere espressione contemporanea di ciò che sento e magari stimolare ai visitatori nuove prospettive. Quando un collezionista mi avvicina sono curioso di conoscere soprattutto la sua visione della mia opera e le eventuali emozioni che può avergli suscitato. Perciò, l’aspetto commerciale, mi interessa relativamente… il valore economico che do ad un mio lavoro è legato esclusivamente a quanto soffrirei nel distaccarmene, nulla più. Se realizzassi delle opere solo per venderle forse non ne realizzerei nemmeno una perché non avrei alcun stimolo a farle. Per me l’arte, se vista in modo commerciale, perde ogni tipo di poesia/fascino e diventa un lavoro come un altro… puro artigianato.
Momenti in cui è rimasto molto dispiaciuto, l’hanno fatta innervosire oppure le hanno dato grande soddisfazione ed emozionare?
I momenti più belli della nostra vita sono quelli in cui si provano forti emozioni, perché le emozioni ci stimolano e ci spingono di conseguenza ad intraprendere una comunicazione diretta con noi stessi. E’ questa, dal mio punto di vista, la cosa più importante per un artista, la comunicazione con se stesso e quindi la conseguente voglia di condividere questo dialogo con il mondo. Perciò io sono molto grato a tutti i momenti difficili e a tutti gli ostacoli che ho trovato durante il mio cammino, perché è grazie a quelli che si trova il modo di incanalarsi verso la propria naturale direzione e quindi la propria massima espressione vitale. […]
Lei si interessa anche di poesia, filosofia?
Quale il motivo che l’ha spinta di convertirsi al buddismo?
Non le manca mai il cattolicesimo?
Nelle filosofie orientali dell’estremo oriente ed in particolare nel Buddismo ma anche nel Taoismo, di cui sto sperimentando le applicazioni della meditazione dinamica, sto scoprendo quotidianamente nuove prospettive e visioni straordinariamente rivoluzionarie e per me illuminanti. Diventare Buddista non è stata una scelta ma un percorso graduale che mi ha prima avvicinato alla filosofia, con la quale ho da subito trovato grande sintonia e poi, attraverso l’applicazione concreta nella vita di tutti i giorni di metodiche specifiche, anche alla sua religione in senso stretto che mi ha offerto la possibilità di intraprendere un cammino all’interno di un me stesso dimenticato o meglio mai scoperto prima. Si tratta di esperienze che ognuno di noi dovrebbe provare, in quanto aiutano a percepire il vero aspetto di tutto ciò che ci circonda e quindi servono a vivere la vita in sintonia con noi stessi e non in antitesi con ciò che siamo veramente. Per me il percorso indicatomi dal buddismo è quindi irreversibile, in quanto una volta che si intravede quella luce non si è più interessati a voltarsi indietro per tornare a guardare nel buio. Un vero cattolico non lo sono mai stato, forse perché non ho mai creduto nell’esistenza di un qualche essere superiore che governa il mondo. Il buddismo mi ha insegnato che la vita è molto più democratica di quanto non crediamo, ogni essere vivente è di per se l’universo stesso e di conseguenza in ogni persona, animale o pianta è racchiuso un potenziale infinito. Indipendentemente da quella che sia la condizione fisica, sociale, mentale o culturale di un individuo, nel buddismo compassione significa rispetto non commiserazione, in quanto ogni buddista riconosce in ogni altro essere un Budda, cioè l’essenza della vita stessa. […]
Che consigli si sentirebbe di dare ad altri artisti che non facilmente tentano di trovare una sede espositiva, un pubblico, una critica, un loro spazio nel mondo e nel mercato dell’arte di oggi?
L’unico consiglio che mi permetto di dare è quello di non porsi mai alcun limite e di sforzarsi di ascoltare il proprio cuore. Mi rendo conto però che non sia cosa semplice, visto che siamo tutti cresciuti in una società dove a padroneggiare è sempre e solo la mente, che in definitiva non è altro che l’accumularsi di esperienze esterne che nulla hanno a che vedere con ciò che realmente siamo o desideriamo. Quindi non dobbiamo fare chissà quali calcoli strategici per capire quale possa essere il mercato o lo spazio migliore per noi… dobbiamo semplicemente essere noi stessi e lasciarci andare… tutto il resto verrà da se… se abbiamo trovato il modo giusto di esprimerci attraverso la nostra arte, allora sarà lei a farsi notare naturalmente dal pubblico e dalla critica giusta.
L’intervista completa è disponibile sul n.10/2012 della rivista Duemila (mensile di informazione culturale del nordest) – Matteo Editore